Lino, Lead UX Designer, Luca UX Design Senior, ed Emiliano Innovation Tech Leader di Jungles ci parlano di un progetto innovativo che ha guidato la transizione di Myntelligence, società che opera nel campo della programmatic adv, verso il nuovo nome MINT e un posizionamento molto più “tech”.
Spieghiamo in breve come è nato il sito MINT e perché il progetto è così innovativo.
Lino – Myntelligence è una società attiva da anni nel campo dell’automazione dei processi di pianificazione e di acquisto della pubblicità grazie ai suoi algoritmi di intelligenza artificiale, ma recentemente ha deciso di cambiare passo, concentrandosi più sullo sviluppo del software che sull’attività di intermediazione pubblicitaria. Un posizionamento focalizzato sull’avanzamento tecnologico e un cambio di nome: da oggi infatti Myntelligence si chiama MINT. Nuovo brand, nuovo payoff, nuova strategia, nuovi partner e nuovo sito. Qui entriamo in scena noi di Jungles. Il cliente ci ha chiamati in causa sin dalle prime fasi, già nel momento del brief all’agenzia che si è occupata del rebranding. Partecipare attivamente dall’inizio è stato cruciale per il successo del progetto, perché ci ha permesso di studiare a fondo le loro esigenze, di essere coinvolti nell’ideazione del nuovo brand e di capirne meglio i valori e la strategia di business, così mentre veniva studiata la nuova brand identity noi ci siamo da subito occupati della parte di UX.
In pratica un progetto “democratico” realizzato in condivisione a quattro mani?
Luca – Si potrebbe anche dire così, infatti il progetto è stato totalmente sviluppato in co-design e il costante confronto con il cliente ci ha aiutati nella comprensione delle sue esigenze di business e di quelle degli utenti finali. Il co-design è un metodo innovativo che coinvolge direttamente tutti gli stakeholder nella generazione delle idee e nella progettazione di un concept, in questo caso del sito. Si condividono idee, ma soprattutto bisogni e interpretazioni, e ognuno si può considerare a tutti gli effetti co-autore del progetto.
Il design partecipativo è efficace perché permette a un gruppo di persone con competenze diverse di stare allo stesso tavolo per risolvere il medesimo problema. Un approccio che conosciamo bene e che ci piace molto: non a caso lo sviluppiamo da sempre nel nostro User eXperience Lab, affrontando ogni progetto da questa prospettiva.
Il sito MINT è molto piacevole da navigare… Scateniamo subito la rivalità: merito della UX o della UI?
Lino – No, nessuna rivalità, saremmo di parte visto che ci occupiamo entrambi di UX. Scherzi a parte, UX e UI sono due elementi allo stesso modo fondamentali per migliorare l’interazione e l’esperienza dell’utente con il prodotto finale.
In questo caso mi voglio sbilanciare dicendo che il merito principale dell’ottimo risultato è della UI.
Le pagine di Mint sono ricche di contenuti e concetti complessi, presentati in modo incredibilmente chiaro, essenziale e allo stesso tempo attraente, il tutto arricchito da micro-interazioni funzionali a una migliore fruizione delle informazioni.
Luca – Io invece non avrò scrupoli sostenendo che la UX ha dato il contributo più rilevante per la riuscita del progetto. 🙂 Analisi, ricerca e strategia UX hanno permesso di ridurre al minimo errori e fraintendimenti tra gli stakeholder, guidando tutti nella giusta direzione. I template e i pattern forniscono il giusto contenuto all’utente quando e dove ne ha bisogno; l’uso del progressive disclosure[1] per accedere agli approfondimenti nei template con lo snap scrolling[2] ne è un esempio. Tutto da manuale insomma.
Nel navigare il sito si nota subito una grande vivacità di colori e soluzioni visive. Creatività in questi casi fa rima con funzionalità e strategia?
Luca – L’interfaccia del sito è figlia del rebranding, del nuovo posizionamento e della nuova immagine coordinata di MINT. Ogni elemento del design system è stato progettato per essere in linea con il nuovo Brand Manual. L’uso di micro interazione e animazioni ha permesso di esprimere il rinnovamento del carattere, dandogli un’anima. Ovviamente un’interfaccia impattante a livello visivo è molto importante per il successo di un progetto digital, però noi UI Designer non amiamo parlare di creatività, perché cerchiamo sempre di focalizzarci sull’usabilità per il benessere dell’utente; se questa non funziona al meglio non importa quanto l’idea sia stravolgente e ipercreativa, gli utenti abbandoneranno comunque il sito.
Quando un esperto UX come voi naviga su un sito da utente, cosa cattura per prima cosa la sua attenzione?
Quali sono gli errori più gravi di progettazione e design che possono pregiudicare il risultato finale di usabilità?
Lino – Ordine vs disordine… Approcciando la questione in modo quasi filosofico, si potrebbe dire che quello che ci colpisce e che cattura la nostra attenzione è l’esatto opposto rispetto a ciò che ci disturba. La presenza del giusto equilibrio tra contenuti e spazio bianco, la corretta gerarchia tra gli elementi in pagina, come risaltano i pulsanti e i link… sono tutti fattori decisivi ai fini del risultato e dell’esperienza finale.
Luca – L’errore più grande che si possa commettere è dimenticarsi dell’utente, non considerarlo nella fase di progettazione stessa, ed evitare il costante confronto con lui.
Questa è un’affermazione che nasce sul campo, infatti troppo spesso veniamo coinvolti in progetti che si sono arenati proprio perché è stata data poca importanza alla parte di analisi preventiva delle esigenze dell’utente.
Cosa cambia nell’approccio alle varie fasi di un progetto B2B come questo rispetto a uno B2C?
Lino – Le differenze in realtà sono molto poche e si concentrano nei contenuti. Nella realizzazione di un sito e nella creazione della User Experience il punto più importante da prendere in considerazione sono sempre le necessità dell’utente, chiunque egli sia. La domanda che ci si deve fare è in ogni caso la stessa: di cosa ha bisogno?
L’utente business è comunque un utente: vuole informazioni precise, facili da raggiungere e da fruire, in un contesto ordinato e piacevole.
Alla base di qualsiasi progetto non può quindi mai mancare un’approfondita conoscenza dell’utente, con interazioni e contenuti progettati e ordinati di conseguenza.
Qual è la tecnologia migliore per sviluppare siti “maneggevoli” come quello di MINT?
Emiliano – Per poter garantire elevate performance, ma contemporaneamente una gestione dei contenuti semplice ed intuitiva da parte dal cliente, abbiamo adottato un approccio che consiste nella separazione del backend dal frontend; in questo modo il sito visibile al pubblico risulta avere la stessa velocità di caricamento di quello che potrebbe essere un sito statico, pur essendo completamente aggiornabile da CMS. Questo è stato possibile grazie alla tecnologia chiamata Next.js, ossia un framework di sviluppo realizzato in React.js che ne estende le funzionalità migliorandone le performance.
Per chiudere, una domanda “a latere” a Stefania, CDO di Jungles.
MINT si occupa di programmatic advertising: ultimamente se ne sente parlare sempre di più, ma possiamo spiegare meglio come funziona questa modalità?
Il programmatic advertising non è una novità assoluta: da diverso tempo gli addetti ai lavori lo conoscono e lo utilizzano, ma grazie ai risultati che garantisce, nell’ultimo anno il fenomeno è letteralmente esploso, diventando richiestissimo dalle aziende. Secondo la ricerca annuale di IAB Europe che analizza le tendenze legate alla tecnologia, il programmatic adv ha raggiunto nel 2019 un valore di 23 miliardi di euro; inoltre, nel 2020 il 77% del display adv e oltre il 50% del video adv sono stati acquistati in programmatic. Numeri sensazionali, che hanno origine dalla validità e dalla versatilità di questo metodo. Come funziona? Niente di complicato, almeno a parole: in pratica si tratta di software altamente specializzati che analizzano i comportamenti dell’utente in rete, ricavando una enorme mole di dati, grazie ai quali sono in grado di acquistare in modo “ragionato” qualsiasi forma pubblicitaria digitale. La profilazione del target a cui rivolgersi è così estremamente accurata: incrociando i dati di navigazione con quelli di geolocalizzazione, il contenuto arriva con tempestività perfetta ai soggetti potenzialmente più interessati a riceverlo. Un meccanismo “chirurgico” di micidiale efficacia. In Jungles conosciamo molto bene il programmatic. Oltre al sito di MINT abbiano infatti recentemente sviluppato per Sky Media il sito per la loro piattaformaAdvertising Manager, completamente automatizzata, che in pochi passaggi permette a chiunque di impostare la propria campagna su ogni media, garantendo sempre la performance voluta.
Poi non stupitevi se durante la partita in TV, sullo smartphone mentre fate colazione, oppure sul tablet prima di addormentarvi, vi viene proposto esattamente quello che vi piacerebbe vedere in quel momento.
[1] progressive disclosure: è una tecnica di design che ha lo scopo di aiutare a mantenere l’attenzione riducendo la percezione di disordine e la confusione. Questo metodo migliora l’usabilità presentando solo i dati minimi realmente necessari per la prosecuzione o la conversione. La strategia basa la sua efficacia sul mostrare le informazioni più complesse solo quando l’utente le richiede.
[2] snap scrolling: “agganciare” (snap) lo scrolling ad un determinato contenuto, in modo che ad ogni scroll l’utente venga indirizzato al contenuto richiesto tramite “effetto scivolo”.